
5 OTTOBRE – 10 NOVEMBRE 2023
SPEAK TO ME IN A FLOATING WAY
CARLO COSSIGNANI

Carlo Cossignani, Vista Installazione, “Speak to me in a Floating way”, 2023, ph Sarah Indriolo

Carlo Cossignani, Dettaglio, ph Sarah Indriolo

Carlo Cossignani, Dettaglio, “Speak to me in a Floating way”, 2023, ph Sarah Indriolo

Carlo Cossignani, Dettagli, “Speak to me in a Floating way”, 2023, ph Sarah Indriolo

Carlo Cossignani, vista dell’installazione, “Speak to me in a Floating way”, 2023, ph Sarah Indriolo

Carlo Cossignani, vista dell’installazione, “Speak to me in a Floating way”, 2023, ph Sarah Indriolo
Testo Critico
Speak to me in a Floating way
L’opera di Carlo Cossignani trasmette un senso di fragilità. Non perché i pezzi siano messi insieme precariamente, al contrario, i dipinti e le sculture sono realizzati con meticolosità. La fragilità è fondamentale, ha a che fare con la natura della nostra percezione e, forse, con la natura del nostro mondo. Prendiamo ad esempio i suoi acquerelli. Sono delicati, le forme si snodano, mentre i bordi esterni contrastano nettamente con il bianco della carta. All’interno, le forme si sfumano in un labirinto di gradienti morbidi; viola, o un inchiostro blu scuro, giallo e altri rossi o verde lime. C’è una narrazione, certo, ma solo nel senso più astratto. Non si impone. E sebbene le forme non siano antropomorfe, richiamano la danza e i movimenti di corpi estatici e fluidi sospesi nel tempo.
“La bellezza sarà convulsiva, o non sarà affatto”, scrive André Breton nel suo romanzo Nadia, come se stesse delineando un futuro ideale per l’arte in cui le vecchie regole di forma e composizione non si applicano, un’arte che provoca una reazione viscerale e intensa. Nei suoi acquerelli, anche in questo caso, le regole della forma non sono così chiare. In realtà, forse persino il termine “forma” è un po’ fuorviante. Le sue opere su carta evitano una composizione centrata, e sembra che l’ornamento abbia smesso di essere decorativo ed è emerso in opposizione alla gerarchia pittorica.
Nella storia dell’arte, l’ornamento ha avuto una cattiva reputazione. È stato visto come eccesso e attacco alla chiarezza, al contenuto, alla narrazione e alla gerarchia. Quando l’ornamento trabocca nell’immagine, è come se la cornice prendesse il sopravvento sull’immagine stessa. Mentre le maniere sontuose dovrebbero sopraffare lo spettatore, la pratica di Cossignani appare curiosamente equilibrata; invita alla contemplazione. I dipinti sono attaccati a distanziali con magneti, che li fissano a una certa distanza dalle pareti. Le opere si basano sull’illusione di essere sospese nel tempo e nello spazio, e trasmettono una leggerezza fondamentale, come se la più leggera brezza potesse farli oscillare.
Tuttavia, c’è un altro modo in cui questi pezzi trattano la leggerezza. Con le opere su carta, basta un momento per capirne il motivo. Le didascalie fanno riferimento allo spazio vuoto tra i media utilizzati, che è il caso di tutte le cose spaziali, ma che spesso viene trascurato. Guardando le immagini, diventa chiaro perché è importante. I dipinti ricordano le sculture. Parti di essi sono tagliate, come se il vuoto generasse l’immagine.
Un’installazione, allestita a Palazzo Hercolani Bonora a Bologna, consisteva in otto pezzi, quattro sul pavimento e quattro sospesi dal soffitto, proprio sopra di essi, come basi e capitelli, tranne che ciò che sta in mezzo non è visibile. Altrettanto, le sculture in questa mostra generano un effetto strano. I pezzi creano uno spazio, quasi come un interno architettonico; estraneo all’ambiente circostante perché sono oggetti simili ad aquiloni realizzati in acciaio lucido. Le opere precedenti dell’artista giocavano con le forme del canone classico, deformando e ammorbidendo la rigidità stessa del classico. Tuttavia, in queste opere c’è una relazione molto specifica con l’architettura: qui funge da abbreviazione per la struttura di tutte le cose.
L’assenza diventa visibile; il vuoto si trasforma in una presenza tangibile. Il vuoto, simile allo spazio aperto intorno alle opere su carta di Cossignani, figura come parte costituente dell’installazione. L’invisibile diventa il contrappunto del visibile, e la scultura si colloca tra il qui e il non-là.
L’equilibrio tra visibile e invisibile crea un’immagine. L’occhio è in grado di tracciare i contorni con pochissime informazioni, e i modi in cui questi processi cognitivi funzionano sono oggetto sia di psicologia sperimentale che di estetica. Anche il chiaroscuro nella pittura può essere descritto come un’interazione tra l’oscurità vuota e la luce: lo spettatore percepisce un’immagine drammatica. Questo enigma dell’illusione e della percezione si collega a questioni filosofiche sulla relazione tra cose costituenti ed entità costituite, o più specificamente tra materia e forma – basti pensare che Cossignani elenca lo spazio vuoto come mezzo. Pensare al vuoto e al suo opposto, però, non è necessariamente limitato alla metafisica e alla storia dell’arte. La fisica quantistica ha scoperto che lo stato del vuoto quantico, pur non contenendo particelle fisiche, non è affatto vuoto. Contiene onde e particelle elettromagnetiche che entrano e escono dal campo quantico.
Dopo aver lavorato con il video e la performance, Cossignani è tornato alla pittura e alla scultura, dove ha iniziato a confrontarsi con il vuoto. Inizialmente con oggetti leggeri in ottone, che sembravano fluttuare nello spazio, poi lunghi nastri avvolgenti in ottone, successivamente dipinti ad olio su lino ritagliato. Nelle sue ultime opere, il vuoto alimenta ciò che è presente, come un motore invisibile. Forse l’opera di Cossignani rivela qualcosa di intrinseco alle immagini e, in ultima analisi, all’architettura del nostro mondo. È un modo per decifrare l’impalcatura nascosta del cosmo.
Philipp Hindahl